Innovazione, Risorse Umane, Sport: cambiare il mondo con un click!

Capire – discutere – scoprire – immaginare – sognare


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1 anno (e 1 settimana) di LinkedIn

E’ incredibile come questi 12 mesi siano passati, velocemente, inesorabilmente. E la cosa più incredibile è che rifarei tutto, dalla più meschina cavolata, al più grande colpo di genio (raro quest’ultimo in confronto alla prima categoria). In LinekdIn ho trovato spazio per provare, innovare, condividere. Ho fatto esplodere anni di idee incanalate in processi senza via d’uscita, ho riscoperto la voglia di sbagliare e sentire invece di avere imparato. Erano anni che non mi sentivo così, dai bei anni di AIESEC probabilmente.

Tuttavia non voglio scrivere un post su LinkedIn come datore di lavoro, sarebbe contro l’idea di questo blog. Voglio invece raccontare perché è diverso lavorare in LinkedIn, perché è innovativo.

Prima di tutto l’ambiente. LinkedIn rispecchia esattamente quello che nell’immaginario collettivo è l’azienda americana: informale, giovane, divertente, innovativa. Aggiungo che non è tutta apparenza, che i valori non sono solamente stampati e appicciati ai muri, ma scolpiti nelle nostre teste e ci vengono ricordati tutti i giorni (questo sa molto di lavaggio del cervello stile Arancia Meccanica). Eppure noi dobbiamo sapere bene i nostri valori perché su quelli si basano le nostre decisioni di ogni giorno, perché abbiamo autonomia decisionale, perché l’azienda si fida di chi assume e i dipendenti si fidano dei colleghi.

Questo ambiente di fiducia ti costringe sempre a fare del proprio meglio, a chiedere aiuto, a festeggiare insieme. Ecco, alla classica azienda americana, in Italia siamo riusciti ad aggiungere una grande dose di Italian style: caciari, divertenti, divertiti, affettuosi. A volte sembra di stare a casa, in famiglia. Credo che un gruppo di 22 persone che lavora in questa maniera sia veramente raro.

Quindi da una situazione di questo tipo non possono che nascere cose positive, innovazioni e idee per migliorarsi. E l’azienda ti lascia fare, ti lascia proporre, ti lascia provare. Anche questa è innovazione. Si parla tanto di Google, ma noi lo facciamo sempre senza aver bisogno di un giorno al mese per concentrarci sull’innovazione.

Anzi, LinkedIn preferisce che quel giorno al mese i dipendenti lo investano su come migliorare la realtà che li circonda, migliorandosi come professionisti e come persone.

download (1)Voglio aggiungere di più: il primo giorno di lavoro, la responsabile della nostra induction ci ha parlato di quando avremo lasciato l’azienda. Cioè, non ci ha detto “rimarrete qui per sempre” oppure, “faremo di tutto per trattenervi”, ci ha detto: “un giorno lascerete LinkedIn, è fisiologico. L’obiettivo è che nel periodo in cui rimanete qui, riuscirete a cambiare totalmente le traiettorie delle vostre carriere e accellerarle. Insomma, grazie alla vostra esperienza qui, diventerete più bravi, se non i più bravi“. Questa è ancora innovazione!

Ecco, questi sono alcuni dei motivi perché trovo che LinkedIn sia un’azienda che non solo fa innovazione, ma che è Innovativa in se. Sono felice di farne parte e di poter contribuire. Il mio ex capo una volta mi ha detto che capisci quanto ti piace il tuo lavoro da quanto ne parli con gli amici la sera o da quanto ti piace condividere cosa fai. Ecco, io lo scrivo su un blog, fate voi!

Queste sono le immaigni della mia trasformazione in LinkedIn, date pure un’occhiata.


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Ma abbiamo veramente smesso di sognare?

Grazie al mio lavoro negli ultimi mesi ho avuto la possibilità di incontrare tanti studenti universitari di diverse realtà, con i quali ho parlato di Personal Branding e più in particolare, come ovvio che sia, di come questo si faccia o si rifletta in LinkedIn.

Dal mio punto di vista per fare personal branding, non solo ho bisogno di conoscermi bene per potermi proporre nel modo migliore, ma devo aver anche chiari i miei obiettivi, personali e non.

Da qui partono i miei ragionamenti con gli studenti (diverse centinaia incontrati ad oggi, direi un campione che comincia ad essere significativo, o almeno, per i sondaggi sulle intenzioni di voto alle prossime elezioni lo sarebbe) ed in generale inizio la mia presentazione con un video, questo:

Per me avere degli obiettivi nella vita è strettamente connesso all’avere dei sogni, delle ambizioni. Ciò non significa essere dei disillusi, essere distaccati dalla realtà, semplicemente è credere di poter cambiare le cose, avere sempre un punto di riferimento anche quando non sappiamo dove stiamo andando. Una sorta di stella polare.

Nella mia vita ho sempre avuto forti stimoli contrastanti tra di loro, come penso tutti quanti. C’è chi ti dice che farai grandi cose e che realizzerai tutti i tuoi sogni, c’è invece chi ti dice di volare basso e di accontentarsi. Probabilmente, come spesso succede, la verità sta nel mezzo, ma io credo di averla razionalizzata diversamente e sulla mia tesi dell’università ho lasciato come ringraziamento: “dedicato a tutti quelli che hanno creduto in me, perché da loro ho tratto la forza di sognare. Dedicato a tutti quelli che non hanno creduto in me, perché da loro ho tratto la forza di migliorarmi”.

Quello che ho invece notato nell’attuale generazione è un’enorme rassegnazione, scoramento. Come se quelli che di solito ti dicono “ce la puoi fare” fossero tutti in letargo, oppure come se quelli che ti dicono “lascia perdere” si fossero raddoppiati. O se più semplicemente i primi fossero tutti diventati come i secondi? Se anche chi ti diceva sempre “farai grandi cose” adesso ci stesse dicendo di “fare quelle piccole che è già tanto”?

Credo che ci stiano togliendo la speranza e i sogni. Per questo ammiriamo (invidiamo?) tantissimo gente che ce la fa grazie a un reality show, lasciamo tutte le nostre speranze nelle mani di un nuovo primo ministro che è giovane e che quindi ci può salvare. Abbiamo come idoli imprenditori, perché sono sempre più rari e ci sembrano sempre più coraggiosi. Ci stupiamo se un amico ci dice che ha un lavoro che gli piace, ci sembra assurdo.

E se questo, al limite, posso aspettarmelo da persone che è già da anni (tanti) che lavorano, rimango totalmente confuso quando vedo reazioni contrastanti da parte di studenti universitari: come è possibile che non abbiano più i loro sogni, chi glieli ha sottratti?

Non voglio entrare in discorsi troppo filosofici che poi diventerebbero politici ed economici, magari davanti a qualche buona birra se ne può anche parlare. Il mio messaggio è invece: ma se la vera innovazione da qui ai prossimi 2 anni fosse riappropriarsi dei nostri sogni? Tornare a credere che tutto sia possibile e che siamo tutti destinati a grandi cose? Questo sempre consci che solo in pochi al mondo realizzano i loro sogni, ma che tutti abbiamo il diritto di averli, di crederci e magari fermarci a metà del percoso per raggiungerli, ma almeno ne sarà valsa la pena, no?

Ma il primo pensiero che ho è verso le ragazze e i ragazzi che stanno per entrare nel mercato del lavoro, di tutte le età: il futuro è nostro (e vostro), dobbiamo avere la forza e il coraggio di credere che possa essere migliore e che noi possiamo contribuire a renderlo tale. Mi impegnerò a condividere di più, ad incontrare più studenti, a parlare con loro, trasmettere queste mie idee. Noi non eriditiamo il mondo dai nostri padri, ma lo prendiamo in prestito dai nostri figli.


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Cari genitori,

mi rivolgo a voi in quanto esseri adulti, razionali e con la testa ben piantata sulle spalle. Preferisco essere proprio io a dirvelo, con cognizione di causa e prima che lo scopriate sulla vostra pelle: la pallavolo è lo sport più pericoloso che esista.
Vi hanno ingannato per anni con la storia della rete, della mancanza di contatto fisico, del fair play. Ci siamo cascati tutti, io per primo, il rischio è molto più profondo subdolo. Prima di tutto questa cosa del passaggio… In un mondo dove il campione è colui che risolve le partite da solo, la pallavolo, cosa si inventa? Se uno ferma la palla o cerca di controllarla toccandola due volte consecutivamente, l’arbitro fischia il fallo e gli avversari fanno il punto. Diabolico ed antistorico: il passaggio come gesto obbligatorio per regolamento in un mondo che insegna a tenersi strette le proprie cose, i propri privilegi, i propri sogni, i propri obiettivi. Poi quella antipatica necessità di muoversi in tanti in uno spazio molto piccolo. Anzi lo spazio più piccolo di tutti gli sport di squadra! 81 metri quadrati appena… Accidenti, ci mettiamo tanto ad insegnare ai nostri figli di girare al largo da certa gentaglia, a cibarsi di individualismo (perché è risaputo che chi fa da sé fa per tre), a tenersi distanti da quelli un po’ troppo diversi e poi li vediamo tutti ammassati in pochi metri quadrati, a dover muoversi in maniera dannatamente sincronica, rispettando ruoli precisi, addirittura (orrore) scambiandosi ‘cinque’ in continuazione.
Non c’è nessuno che può schiacciare se non c’è un altro che alza, nessuno che può alzare se non c’è un altro che ha ricevuto la battuta avversaria. Una fastidiosa interdipendenza che tanto è fondamentale per lo sviluppo del gioco che rappresenta una perfetta antitesi del concetto con cui noi siamo cresciuti e che si fondava sulla legge: ‘La palla è mia e qui non gioca più nessuno’. Infine ci si mette anche il punteggio e il suo continuo riazzeramento alla fine di ogni set. Ovvero, pensateci: hai fatto tutto benissimo e hai vinto il primo set? Devi ricominciare da capo nel secondo. Devi ritrovare energia, motivazioni, qualità tecniche e morali. Quello che hai fatto prima (anche se era perfetto) non basta più, devi rimetterlo in gioco. Viceversa, hai perso il set precedente? Hai una nuova oggettiva opportunità di ricominciare da capo. Assolutamente inaccettabile per noi adulti che lottiamo per tutta la vita per costruire la nostra zona di comfort dalla quale, una volta che ci caschiamo dentro, guai al mondo di pensare di uscire. Insomma questa pallavolo dove la squadra conta cento volte più del singolo, dove i propri sogni individuali non possono che essere realizzati attraverso la squadra, dove sei chiamato a rimettere in gioco sempre ed inevitabilmente quello che hai fatto, diciamocelo chiaramente, è uno sport da sovversivi! Potrebbe far crescere migliaia di ragazzi e ragazze che credono nella forza e nella bellezza della squadra, del collettivo e della comunità. Non vorrete correre questo rischio, vero? Anche perché, vi avviso, se deciderete di farlo… non tornerete più indietro.

Mauro-BerrutoMauro Berruto
Commissario Tecnico della nazionale maschile di pallavolo

Questo articolo non parla solo di quanto sia bello lo sport che amo, ma anche dei valori che porta in dota, in forte contrasto con la realtà che ci circondo, ogni giorno. Credo che Berruto sia un grande amabsciatori non solo della pallavolo, ma in generale di valori forti come la lealtà, la cooperazione e la costanza in quello che fai.


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Recruiting su mobile, sul serio???

Sembrerebbe di sì, finalmente ci siamo.

LinkedIn (chi altrimenti??) sta lanciando in maniera massiccia soluzioni connesse alla piattaforma ma in ambito mobile. In particolare, solo negli ultimi 2-3 mesi, mi vengono in mente:

  • La nuova app per cellulari (vedere nei propri store)
  • La nuova app per ipad (bellissima!)
  • Nuove funzionalità per gli utenti, tra cui la possibilità di candidarsi agli annunci di lavoro direttamente on-line dal cellulare con il proprio profilo (carissime generazioni X – Y – Z avete letto bene!)
  • La possibilità, per i clienti aziendali del social network, di accedere al database LinkedIn direttamente attraverso il cellulare grazie a LinkedIn Recruiter Mobile (disponibile in versione app solo per iphone e in versione mobile sugli altri dispositivi)

Esempi, solo esempi. Ma l’innovazione è lì, qualche cosa sta cambiando, l’attività di recruiting non è più passiva, ma proattiva. I recruiter adesso vanno a cercare le persone e lo possono fare ovunque!

Mi rendo conto che sentir parlare bene di LinkedIn da parte mia è alquanto fuori luogo (potrei parlare di LinkedIn per ore senza perdere di entusiasmo, anzi!), quindi cerchiamo di capire in cosa consista l’innovazione senza incensare niente e nessuno.

Il mondo del recruitment negli ultimi 10 anni, ad essere generosi, ha subito una crisi di idee ed un generale livellamento verso il basso nella qualità del lavoro. Questo ovviamente a parare personale, ci tengo a dirlo.

L’ultima grande idea nel settore è stata Monster (e in generale le job board on-line) che altro non sono state se non la digitalizzazione degli annunci sui giornali e delle bacheche fisiche (alcuni esempi di entrambe le categorie ancora stoicamente resistono). Insomma, stiamo parlando di un settore in cui l’innovazione, anche nel metodo e nel processo, è sempre stata piuttosto povera, portando le aziende a vedere questa funzione sempre meno strategica, investendo sempre meno sulla qualità e sulla formazione delle persone (le risorse umane che non investono sulle risorse umane!!!!!!) e puntando sempre di più sull’esternalizzazione di tante, troppe fasi del processo.

E qui arriva LinkedIn. Dialogo tra un me e un ipotetico neofita dello strumento che lavora nell’ambito HR.

ME: “Conosci LinkedIn?”
HR: “Certo, è un grandissimo database, manna per le risorse umane.”
ME: “No, veramente è un social network…”
HR: “sì sì, guarda lì dentro è pieno di professionisti pronti a cambiare lavoro”
ME: “Calma. Mettiamo le cose in ordine. LinkedIn è un social network dove le persone possono esprimere la propria professionalità e poter quindi interagire con il network per diventare più produttivi e di successo. Non è composto solo da professionisti, ma anche da studenti e neo-laureati”
HR: “Vabbè, come vuoi. Comunque è più o meno come Monster, un database e una bacheca annunci”

Questa è la grande innovazione, LinkedIn non è ne’ un database ne’ una bacheca annunci, è un social network per professionisti dove è possibile migliorare la propria traiettoria lavorativa, sia internamente che esternamente alla propria azienda. In questo tentativo di miglioramento le persone possono incappare in opportunità al di fuori del proprio datore di lavoro, ma non è il focus della piattaforma.

E LinkedIn stesso, non pago di aver cambiato COME domanda e offerta di lavoro si incontrarno, ha deciso di cambiare anche il DOVE: spostiamoci quindi sul mobile, cerchiamo di essere migliori professionisti non solo mentre siamo alle nostre scrivanie, ma ovunque.

Sempre ragionando ad alta voce se ogni persona si sforzasse di essere un professionista migliore, sarebbe appetibile dalle aziende che offrirebbero quindi posizioni tali da cambiare l’azienda stessa in meglio, al fine di avere un mondo migliore. So che è un mondo ideale, so che la realtà è diversa, so che è difficile. Però perché non provarci? Ovunque, anche da mobile. Se questa non è innovazione…


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Il terzo tempo in azienda

Uno degli sport in più grande ascesa nell’ambito italiano è sicuramente il rugby. Questa disciplina ha sottratto negli ultimi anni tantissima visibilità ad altri sport di squadra secondari nel nostro paese, come la pallavolo o il basket. Il motivo da ricercare è nei forti valori che vengono espressi in questa attività, valori sia fisici che morali: grande lealtà, tempra, carisma, voglia di vincere ma sempre in maniera corretta. Per praticare questo sport c’è bisogno di grande fisicità, forza e resistenza. Tutte queste caratteristiche, unite al fatto di essere uno sport molto internazionale (i primi grandi giocatori italiani sono stati effettivamente naturalizzati, tendenza questa poi seguita da altri sport più conosciuti con alterne polemiche) hanno reso questa disciplina sempre più seguita, sia negli stadi, specialmente la nazionale, sia dal pubblico televisivo.

Personalmente non sono un amante di questo sport da un punto di vista dello spettacolo che offre: tante pause, regole che tuttora mi sfuggono (probabilmente non mi sono neanche mai troppo applicato), troppo contatto fisico (per un nativo della pallavolo questo è veramente TROPPO contatto fisico!). Tuttavia ne apprezzo enormemente la sportività, propria dello Sport con la S maiuscola, praticato da Uomini con la U maiuscola. In particolare trovo affascinante il concetto di terzo tempo: alla fine della partita, comunque sia finita, le due squadre contendenti si ritrovano a festeggiare con i propri tifosi, con cibo e bevande (tanta tanta birra) per tutti.

Trovo questo insegnamento bellissimo e applicabile all’interno di una realtà aziendale. Traggo in particolare questi due spunti:

  1. La cultura del festeggiamento. Celebrare i risultati deve far parte di una qualsiasi azienda, per far sentire i dipendenti uniti e forti verso un unico obiettivo comune. Molte aziende non identificano questo valore come importante e pensano che un’email o un riconoscimento, anche economico, sia sufficiente. In realtà permettere alle persone di celebrare per quanto hanno lavorato e quindi ottenuto, condividendo insieme non solo il lavoro ma anche la festa, crea un momento di forte unione e identificazione verso il brand. Fa sì che i propri dipendenti si divertano e che riconoscano quindi valore nella fatica del lavoro. In definitiva è un forte driver di employer branding interno.
  2. La cultura della sconfitta e del nemico vinto. Nel terzo tempo del rugby anche l’avversario è invitato al festeggiamento, perché tutto ciò che concerne la partita è finito con il fischio dell’arbitro, senza strascichi ne’ polemiche. In azienda spesso ci si ritrova a confrontarsi per far emergere le proprie idee rispetto a quelle di un collega. In palio ci sono di sovente visibilità o una promozione e quindi si fa di tutto per poter raggiungere l’obiettivo. Tuttavia solo una persona ce la può fare ed è importante per chi ha “perso” riconoscere il valore del vincitore, imparare e tornare più preparato la volta successiva. Per chi ha “vinto” è invece giusto dare valore a coloro i quali hanno duellato fino all’ultimo e per quanto possibile cercare di portare un clima sereno nell’ufficio sin dal giorno dopo cercando di valorizzare anche le persone uscite sconfitte.

E’ facile tutto questo? Credo di no, ma credo anche che ne possa valere la pena, voi che ne dite?


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Prologo

Eccoci ad iniziare questa nuova avventura, un blog. A dire il vero non è il primo che gestisco di persona (è il secondo). L’altro, chiuso qualche anno fa era di carattere molto personale, questo invece voglio impostarlo diversamente.

Per prima cosa sarà in Italiano. Magari verranno condivisi contenuti anche in Inglese (non vorrei lanciarmi su altre lingue meno conosciute) ma i pensieri, riflessioni ed idee saranno in Italiano. Questo perché voglio che sia uno spazio pensato per l’Italia e per coloro i quali vorranno condividere con me questa esperienza nel nostro Paese.

Un blog pensato per mettere insieme 3 argomenti totalmente lontani che invece hanno tanto da insegnare l’uno all’altro e per i quali ho una passione sfrenata: Risorse Umane (il mio lavoro), lo sport (il mio hobby), l’innovazione (la mia visione).
Credo fortemente che l’ambito Risorse Umane e lo Sport abbiano tante connessioni, analogie che vorrei scoprire e sviscerare, cercare di capire come l’uno possa imparare dall’altro e viceversa. L’innovazione invece deve essere non solo l’obiettivio di entrambi questi ambiti ma di tutte le attività in tutti i settori: innovare, ridisegnare, sognare.

Ho deciso di lanciarmi su questi tre argomenti anche perché penso di essere in un posto di osservazione privilegiato come LinkedIn che mi permette di vedere come stia cambiando il mondo delle risorse umane, ma in generale nuovi trend riguardanti i social media e l’ambito mobile delle nostre vite. In ho una naturale propensione per gli sport (propensione intesa come passione, più che come effettiva bravura) in quanto pratico da una vita pallavolo, sci e beach volley. Inoltre da buon Italiano mi tengo aggiornato su calcio, basket e tennis. Credo che ogni sport possa insegnarcil’innovazione, sia nelle regole (la pallavolo ha cambiato totalmente pelle negli ultimi 15 anni) sia nelle tecnologie (avete presente gli sci 20 anni fa????), tanto da rendere alcuni ambiti pura eccellenza nell’avanguardia tecnologica (Formula 1, Vela).

Insomma, questo vuole essere uno spazio in cui potremo parlare insieme di tante cose, spero di riuscire a coinvolgere quante più persone possibili ma soprattutto vorrei interessarvi e imparare da voi. Questo è il primo passo, ma si sà, ogni grande viaggio inizia con un piccolo primo passo, nella giusta direzione.